Rêverie 
CENTRO DI PSICOTERAPIA
PSICOANALITICA

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By Marta Quaentri August 31, 2020
Il mito di Edipo come del resto la funzione psichica riconosciutane da Freud, rappresenta una traccia universale dell’esperienza culturale e psicologica di ogni individuo, e pertanto quella base sicura dalla quale partire verso la conoscenza del mondo psicoanalitico. “Nella tragedia, dunque, non assistiamo semplicemente al cedere dell’uomo di fronte al destino, quanto piuttosto al realizzarsi dell’uomo in un conflitto che dà al destino stesso la sua forma”. Edipo è la tragedia che apre a tutte le forme di verità e la geniale interpretazione che ne ha fatto Freud è senz’altro la più vicina allo spirito di Sofocle, poiché ricalca sapientemente la fragilità dell’uomo, la sua debolezza intrinseca lungi dall’essere padrone delle proprie azioni, la costante tensione che gli appartiene tra frontiera e soglia, soggetto e realtà, Eros e Thanatos e che conferisce tragicità all’esperienza umana. La tragedia è pertanto inesauribile, come pure il conflitto psichico. In questo spazio non intendo tracciare il complesso itinerario dell’elaborazione progressiva di questa scoperta, la cui storia richiederebbe la trattazione della psicoanalisi stessa, ma limitarmi a sottolineare il ruolo dell’Edipo nella vita psichica dell’uomo e la funzione che assume nell’arco della sua evoluzione. Già nei primi anni di vita, il bambino inizia a sviluppare un affetto particolare nei confronti della madre, la quale all’interno di una relazione simbiotica iniziale gli appare in suo possesso, e ad avvertire il padre come il rivale emblematico di tale fusione. Lo stesso vale per la bambina, la quale si sente contrastata dalla madre nel suo rapporto affettivo privilegiato con il padre. Freud iniziò le prime osservazioni sul complesso edipico, in seguito alla morte di suo padre Jacob avvenuta nell’ottobre del 1886, e in corrispondenza dell’inizio della sua autoanalisi. Le sue notazioni sul tema vennero introdotte per la prima volta nell’Interpretazione dei sogni (1889), e apportarono importanti significati alla comprensione dell’evoluzione della storia dell’umanità e al suo funzionamento mentale. In questo scritto, Freud afferma che il mito di Edipo stesso, sia scaturito da un antico materiale onirico evocato dai disturbi annessi agli impulsi sessuali infantili che derivano dalla relazione con i genitori. A tal proposito, Freud ricorda un passaggio della tragedia in cui Giocasta rassicura il figlio angosciato da un sogno in cui si congiungeva con sua madre: “Il sogno di avere rapporti sessuali con la propria madre è diffuso, oggi come allora, tra molti che lo raccontano sdegnati e stupiti. [...] La trama dell’Edipo è la relazione della fantasia a entrambi questi sogni tipici, e come i sogni degli adulti vengono vissuti con sentimenti di repulsione, così questa leggenda deve accogliere anche orrore e autopunizione.” Con tale sottolineatura, Freud inserisce l’elemento centrale di questa dinamica: il principio di castrazione e la difesa di rimozione annessa. Diversamente dagli stimoli esterni, dai quali si possono immaginare varie strategie di fuga, l’Io non può fuggire dalle proprie pulsioni, afferma Freud in metapsicologia (1915). Pertanto, di fronte ad una meta pulsionale che “reca dispiacere in luogo di piacere”, e in assenza di soluzioni di compromesso per sublimare attraverso il sogno, quindi mediante lo spostamento e la condensazione, la rappresentazione spiacevole su rappresentanti sostitutivi tollerabili dall’apparato psichico, avviene il cosiddetto processo di rimozione. “la sua essenza consiste semplicemente nell’espellere e nel tener lontano qualcosa dalla coscienza”, quel qualcosa che tuttavia non mancherà di lasciare traccia di sé nell’inconscio. Si tratta di rappresentazioni che non hanno potuto trovare spazi rappresentazionali e modalità di elaborazione e che soggiaciono in altre forme nella vita psichica. Tale meccanismo di difesa, come del resto ognuno di essi, assume forma patologica nei termini quantitativi della sua manifestazione e, pertanto, entro certi limiti, risulta un procedimento che la mente attua al fine di difendersi da esperienze intensamente dolorose ed intollerabili, e dunque non avvertito come patogeno dalla psiche. Nell’Interpretazione dei sogni (1989) Freud accenna all’Amleto di Shakespreare sottolineando che, mentre nella tragedia di Sofocle, Edipo può portare alla luce i suoi desideri sessuali infantili, Amleto sembrerebbe costretto a rimuoverli, proprio come nel caso di una nevrosi. Il dramma, in Shakespeare, si dispiega nell’esitazione di Amleto nel portare a termine la vendetta che gli è stata affidata. Le ragioni di questa esitazione non sono rivelate nel testo, tuttavia, sottolinea Freud, l’interpretazione più diffusa ancora oggi è quella di Goethe, il quale riconosce nel personaggio di Amleto, una vitalità paralizzata da un’attività mentale soffocante. I diversi periodi storici in cui si collocano le due opere, ovvero prima e dopo la nascita di Cristo, rimandano alle considerazioni che Freud apporta alla religione e alla funzione superegoica da essa assunta: “Sembra che anche alla base della formazione della religione stia la repressione, la rinuncia a certi moti pulsionali: essi però non sono, come nel caso della nevrosi, componenti soltanto sessuali, ma pulsioni egoistiche socialmente dannose, alle quali generalmente non manca peraltro anche una componente sessuale. Il senso di colpa conseguentemente alla continua tentazione, l’angoscia dell’attesa come paura della punizione divina, ci sono noti nel campo religioso ben prima che in quello della nevrosi.” Dunque, nel funzionamento psichico di tipo nevrotico, vi sarebbe un “conflitto senza fine” entro le pulsioni dell’Io, tra Es e Super-Io, tra desideri e censure, tra la libido dell’Es e il rigore morale del Super-Io. In condizioni desiderabili, il complesso edipico giunge al suo superamento attraverso l’identificazione con il genitore del sesso opposto o dello stesso sesso, in luogo del proprio orientamento sessuale. Pertanto, secondo la visione freudiana, il Super-Io non entrerebbe in attività se non dopo il tramonto del complesso edipico e cioè intorno ai cinque anni. Melanie Klein, concorde con Freud sugli assunti della sua teoria, tuttavia in ragione delle osservazioni maturate durante le sue analisi con i bambini, afferma una datazione anticipata alla comparsa del Super-Io: “era indubitabile che nei miei piccoli pazienti di età compresa fra i due anni e nove mesi e i quattro anni il Super-Io fosse in piena attività già da qualche tempo [...] i miei dati dimostravano che questo primo Super-Io era infinitamente più aspro e crudele di quello dei bambini più cresciuti o degli adulti e che l’ancora debole Io del bambino ne era letteralmente schiacciato. [...] il Super-Io del bambino non coincide con le figure genitoriali reali ma è il derivato di imago dei genitori, di loro configurazioni di fantasia, da lui introiettate; che la sua paura di oggetti reali, la sua angoscia fobica, si fonda sia sul suo timore del Super-Io irreale sia su quello di oggetti che in sé per sé sono reali ma che egli vede, sotto l’influenza del Super-Io, in una configurazione fantastica”. Secondo l’autrice, le prime tracce della comparsa dell’Edipo, si riconoscono a partire dall’anno di vita, quando la manifestazione dell’angoscia, si esprime nella paura di essere divorati o distrutti. Il bambino desidera ardentemente distruggere l’oggetto libidico, e mediante un meccanismo di introiezione dello stesso, teme una punizione commisurata al proprio intento di fare del male, pertanto il Super-Io si manifesta mediante l’oggetto che distrugge, morde e fa a pezzi. Secondo l’autrice, ne consegue che il senso di colpa viene fissato alle fasi sadico-orale e sadico-anale, e le frustrazioni legate al superamento delle fasi orali e anali, assumono il significato di punizioni dando origine all’angoscia. “Con ragione si dice che il complesso edipico è il complesso nucleare delle nevrosi, costituisce l’elemento essenziale del contenuto della nevrosi. In esso culmina la sessualità infantile che influenza in modo decisivo, con le sue azioni consecutive, la sessualità dell’adulto. Ad ogni nuovo arrivato fra gli uomini si pone il compito di dominare il complesso edipico; chi non riesce cade in preda alla nevrosi.” In uno scritto del 1896 in cui trattò il tema dell’etiologia della nevrosi, Fred attribuì a questa vasta gamma di disturbi, problematiche legate all’economia nervosa che trovano fonte comune nella vita sessuale dell’individuo da lui definite “disordini dell’economia nervosa”, insorte sia a causa di pratiche nocive della vita sessuale, sia in conseguenza ad eventi significativi dell’infanzia. L’autore distinse due gruppi di nevrosi contrapposte, le “psiconevrosi” le quali includono la nevrastenia e la nevrosi d’angoscia e quello delle grandi nevrosi o “nevrosi attuali”, riguardante l’isteria e le nevrosi ossessive. Nella psiconevrosi nevrastenica riconobbe un quadro clinico monotono, costituito da generale stanchezza, debolezza sessuale e sintomi somatici come mal di testa o costipazione, dovuti a masturbazioni smodate e ed eiaculazioni spontanee. In questi pazienti, dunque, la funzione sessuale genitale non è stata mai raggiunta a pieno. Le nevrosi d’angoscia, invece, presentano un quadro molto più complesso che si rivela a causa di astinenze sessuali forzate, coito imperfetto o interrotto, eccitamento genitale costante ma che non si placa con l’atto sessuale. In questo ambito di nevrosi, si manifesta uno spaccato sindromico costituito da irritabilità, stati di attesa angosciosa, fobie, attacchi di panico, eccesive paure e sintomi somatici come tremolii, vertigini, diarrea cronica, sudorazioni, tachicardia, dispnea, insonnia, ecc. Freud non ricondusse direttamente l’etiologia delle psiconevrosi a predisposizioni ereditarie, tuttavia sottolineo’ che se presenti, esercitano un importante influsso sul loro manifestarsi. Per quanto concerne l’inquadramento delle “nevrosi attuali”, la loro analisi richiederebbe una lunga ed accurata trattazione, che per ovvi motivi di sintesi non potrò affrontare in questo spazio, tuttavia, è mio interesse introdurre l’intero quadro delle nevrosi, a motivo del fatto che ognuna di esse è riconducibile ad una traccia psichica di un episodio sessuale prepuberale in cui l’età più comune dei casi da Freud osservati, si aggirava intorno ai quattro o cinque anni, ovvero all’epoca in cui l’autore colloca l’insorgenza della dinamica edipica. Nel caso dell’isteria le caratteristiche di tale ricordo relativo alla vita sessuale infantile, si delineano in “un’esperienza precoce di rapporti sessuali con effettiva irritazione degli organi genitali, come conseguenza di un’aggressione sessuale effettuata da un’altra persona [...] Esperienza sessuale passiva prima della pubertà: questa è dunque l’etiologia specifica dell’isteria”. Escluso l’episodio traumatico da un’elaborazione cosciente, in questo caso “l’affetto incapsulato” prende la via dell’innervazione corporea sottoforma di “conversione” e “abreazione”. Tale meccanismo di conversione soffoca l’angoscia che viene manifestata attraverso sintomi somatici quali parestesie, perdita della sensibilità negli arti, disturbi della coordinazione, cecità, afonia, sordità, ecc. Per tali ragioni i pazienti isterici, in uno stato di “belle indifférence”, avvertono scarsa preoccupazione per i propri sintomi. Infine, il contesto della nevrosi ossessiva, pur avendo in comune con l’isteria una causa specifica da ricercare in un episodio di seduzione precoce, si differenzia da essa per la partecipazione attiva del bambino al piacere legato ad esso o ad un desiderio sessuale dal quale si è ritratto. La sintomatologia nevrotico-ossessiva, dettagliatamente descritta da Freud nel caso dell’uomo dei topi (1909), si correda di ambivalenza, controllo emotivo, lotta contro i desideri proibiti e un implacabile giudizio e moralismo interno, che spesso conduce al ricorso al pensiero magico come via di fuga da un processo mentale coatto ed astringente. Concludo, riconoscendo all’Edipo e alle sue funzioni, una dimensione psichica necessaria ed universale connaturata nell’esperienza umana. Un elemento centrale che introduce variabili e dinamismo alle fantasie inconsce e alle rappresentazioni del mondo e che permette l’emancipazione da un narcisismo originario, ritrovando nel padre edipico il terzo salvifico, in assenza del quale la madre rimarrebbe arcaica ed onnipotente nella mente del bambino. La società contemporanea assiste a configurazioni complesse dei nuclei familiari, a scenari che sollecitano costantemente il tema del cambiamento e delle rapide trasformazioni, pertanto in questa cornice di riferimento anche l’Edipo si compone di processi di identificazione più ricchi di sfumature e meno definitori, pur mantenendo intatta la sua funzione. “Atene è provincia, e Sofocle sarà dimenticato, Edipo invece continuerà a vivere, resterà un tema che pone a noi enigmatici quesiti”. BIBLIOGRAFIA: - Friedrich Dürrenmatt, La morte della Pizia, ADELFHI (1985); - Freud, L’ereditarietà e l’etiologia delle nevrosi (1896), OPERE II, Bollati Boringhieri (1968); - Freud, Sessualità nell’etiologia delle nevrosi (1898), OPERE II, Bollati Boringhieri (1968); - Freud, L’interpretazione dei sogni (1899), Einaudi (2012); - Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale e altri scritti (1905), OPERE IV, Bollati Boringhieri (1970); - Freud, Le mie opinioni sul ruolo della sessualità nell’etiologia delle nevrosi (1905), OPERE V, Bollati Boringhieri (1972); - Freud, Azioni ossessive e pratiche religiose (1907), OPERE V, Bollati Boringhieri (1972); - Freud, Teorie sessuali dei bambini (1908), OPERE V, Bollati Boringheri (1972); - Freud, Metapsicologia. La Rimozione (1915), OPERE VIII, Bollati Boringhieri (1976); - M. Klein, Primi stadi del conflitto edipico (1928), Scritti 1921-1958, Bollati Boringhieri (1978); - M. Klein, Il primo sviluppo della coscienza morale del bambino (1933), Scritti 1921-1958, Bollati Boringhieri (1978); - Sofocle, Edipo Re, Laura Correale (a cura di), Universale economica Feltrinelli (1991). Opera di Francis Bacon, Edipo e la Sfinge da Ingres (1983) - Sintra Museum of Modern Art, Lisbona
By Giada Santori April 25, 2020
Immergersi in una riflessione sul periodo storico che stiamo vivendo, richiama necessariamente la considerazione della dimensione temporale. Ma cosa significa? Il tempo appartiene e scandisce la condizione umana, e mai come in una situazione di ambiguità e di fragilità la nostra percezione di esso si modifica. Lo psichiatra italiano, Eugenio Borgna, ha da sempre fornito una lettura magistrale della fenomenologia del tempo, dividendo al livello di significato il tempo della clessidra o delle lancette dell’orologio, dal tempo vissuto. Questa distinzione vuole sottolineare come il tempo dell’io, il tempo psichico abbia delle oscillazioni e dei movimenti radicalmente diversi rispetto al tempo che scorre nel suo naturale corso. In questo momento, c’è un tempo che tutti condividiamo e che si rifà allo scandire dei giorni e delle settimane caratterizzate da ondate di informazioni legate all’ emergenza; ed un tempo interiore che assume forme, ma soprattutto significati diversi e peculiari per ognuno di noi. Per alcune persone il tempo psichico può arrestarsi nella sua evoluzione, chiudersi nei momenti del passato, negando inevitabilmente l’esperienza presente e futura, che si oscura e si cela di malinconia. Per altri ancora, sulla base dei progetti esistenti prima dell’emergenza e che hanno assistito all’ impossibilità di quella realizzazione, il tempo può svuotarsi dell’idea del futuro e radicarsi in un presente che però diviene non integrato con la propria esistenza e rischia così di svuotarsi di significato. Dove stiamo andando? Che direzione prenderà questa situazione e quali conseguenze avrà? E’ inevitabile che ognuno di noi si sia posto questi interrogativi, e che sulla base del proprio vissuto abbia conferito a questi un significato diverso. Quello che il tempo del Covid ci impone è la necessità di stare in una situazione che la nostra mente non è abituata a tollerare ed elaborare. Esistere in un tempo in cui la libertà personale è fortemente limitata, in cui la volontà non è più così personale ma diviene quasi collettiva. Non possiamo fare quello che vorremmo. Nell’agire quotidiano, ognuno di noi mette in atto una serie variegata di strategie di coping, che ci aiutano a fronteggiare le varie difficoltà e che modificano le nostre abitudini così da allinearsi con ciò che ci fa stare bene e ci fa sentire in equilibrio, ed allontanare ciò che ci provoca fastidio o dolore. La realtà della quarantena è entrata a gamba tesa nella vita di tutti, implicando un riadattamento delle nostre strategie e consuetudini, dalle più semplici alle più complesse minando la coesione del nostro Sé. Le nostre strategie adattive e difensive hanno subito un turbamento significativo costringendoci in parte ad abbandonarle per lasciar spazio a nuovi modi di essere in relazione e di “essere nel mondo”, pagandone costi più o meno elevati a seconda delle strutture di personalità di ognuno. Le motivazioni alla base dell’esperienza umana infatti, sottendono a specifici bisogni, i quali si modellano e cambiano sulla base di numerosi fattori, primo fra tutti quello dell ’incontro intersoggettivo. La situazione attuale ha comportato una ridefinizione dei nostri bisogni, pertanto una motivazione che poteva essere predominante in un dato momento (ad esempio prima dell’insorgere dell’emergenza) può essere inglobata e modificarsi come conseguenza di eventi e circostanze sia esterne che soggettive. In questa prospettiva lo sviluppo umano può essere meglio compreso come “processo intrinsecamente attivo, che crea le proprie categorie, le proprie intenzioni, i propri significati e obiettivi, e i propri sistemi motivazionali” ( Lichtenberg, Lachmann, Fosshage 2011 pag 48) A questo discorso ritengo opportuno includere che l’essere umano nelle situazioni di pericolo attiva “il comportamento di attaccamento ” geneticamente predeterminato e che coincide con “quella forma di comportamento che si manifesta in una persona che consegue o mantiene una prossimità nei confronti di un’altra persona, chiaramente identificata, ritenuta in grado di affrontare il mondo in modo adeguato” (Bowlby, 1988 pag. 25) Se teniamo presente questo aspetto, vediamo come in questo momento di emergenza per garantirci sicurezza e protezione, siamo costretti invece a stare lontani e mantenere la cosiddetta “distanza di sicurezza”. Questo aspetto diviene particolarmente intenso per tutte quelle persone che con l’arrivo dell’emergenza sono state costrette a rimanere lontane dai propri cari, per questioni di varia natura, ed hanno dovuto misurarsi con l’impossibilità di raggiungerli e condividere questo tempo. Sulla base di queste riflessioni si evidenzia come l’organizzazione del nostro Sé ha subito notevoli perturbazioni; da un lato esistono tutta una vasta sfera di situazioni di criticità, basti pensare a nuclei familiari conflittuali, che quotidianamente sopravvivono mettendo in atto strategie di evitamento (più o meno attivo) dell’altro e compensatorie. In queste condizioni ritrovarsi costretti a stare in relazione contro la propria volontà ha lasciato spazio ad una serie di comportamenti che nei casi più gravi sfociano, purtroppo, in comportamenti distruttivi. Dall’ altra parte però, esistono molte esperienze positive e di condivisione che la condizione attuale può aver portato alla luce. I bambini ad esempio, nella società attuale hanno sempre meno opportunità di osservare i genitori a lavoro, o di partecipare emotivamente attraverso immagini concrete, alla competenza dei genitori. Solitamente i bambini sono abituati ad osservare il comportamento dei genitori nelle loro ore di svago, che fornisce senz’ altro nutrimento emotivo ; ma come segnala lo psicoanalista E. Kohut, “ non forniscono al Sé nucleare del bambino, lo stesso nutrimento della partecipazione emotiva alle attività della vita reale”. ( Kohut, 1977 pag.236) La necessità ad una vicinanza intensa sperimentata in questi giorni contiene aspetti evolutivi importanti che riguardano un maggiore livello di intimità e stimolazione psichica, oltre che fisica, nelle situazioni familiari e sociali in cui non ci siano condizioni di fragilità psicologica significativa. In queste ultime, purtroppo, il venir meno della rete sociale e lo sconvolgimento delle abitudini può comportare condizioni di importante fatica e fragilità psichica. Il tempo che questa situazione ci ha messo a disposizione, prenderà forme e direzioni diverse a seconda della persona che le sperimenta e delle relazioni in cui è immersa. Un tempo che impone a guardarsi dentro e non rinconcorrere i nostri ritmi frenetici, può stimolare o facilitare la presa di consapevolezza di situazioni che rimanevano “sullo sfondo” nella nostra esperienza quotidiana. Se la società moderna ci impone di essere connessi, e nel modo più “ideale e perfetto” possibile, oggi abbiamo la possibilità di connetterci e guardare alle nostre parti interne, riconoscere quali di esse necessitano di più cura e attenzione. Quello che, purtroppo, l’era moderna ci impone spesso di mettere in secondo piano e nelle situazioni peggiori di rimuovere, sono proprio le nostre parti più fragili e spesso più autentiche. Possiamo pensare che questa esperienza ci conduca a volgere uno sguardo di tenerezza verso di esse. Nasciamo e viviamo in relazione , ed è da lì che le nostre ferite provengono ma è anche all’ interno delle stesse relazioni che possono essere salvaguardate. “La nostra fragilità è radicalmente ferita dalle relazioni che non siano gentili e umane, ma fredde e glaciali, o anche solo indifferenti e noncuranti. Non siamo monadi chiuse , e assediate, ma siamo invece vorremo disperatamente essere, monadi aperte alle parole e ai gesti di accoglienza degli altri, e quando questo non avviene, le dinamiche relazionali si fanno oscure e arrischiate: dilatando fatalmente le nostre fragilità e e nostre ferite, le nostre insicurezze e le nostre debolezze, le nostre vulnerabilità”. (Borgna, 2014 pag. 9) Bibliografia Borgna E., La fragilità che è in noi, Einaudi, Torino, 2014. Bowlby, J. (1988) Una base sicura, trad, it., Raffaello Cortina, Milano, 1989. Kohut H. (1977) La guarigione del Sé, trad. it., Boringhieri, Torino, 1980. Joseph D. Lichtenberg, Frank M. Lachmann, James Fosshage (2011) I sistemi motivazionali, trad. It., Il Mulino, Bologna, 2012.
By Marta Quaentri April 3, 2020
Pur essendo uno scritto introduttivo al tema, Precisazioni sui due principi dell’accadere psichico (1911), assume al suo interno gli elementi essenziali che descrivono il processo di trasformazione dal principio di piacere al principio di realtà. Freud, in questo breve scritto, in verità descrive la complessa contrapposizione fra i processi primari dominati dal principio di piacere (“L’Io piacere non può far altro che desiderare, adoperarsi al fine di ottenere piacere ed evitare dispiace”, pp.457) e quelli secondari guidati dal principio di realtà (“L’Io realtà non ha altro da fare che mirare all’utile e garantirsi contro ciò che è dannoso”, pp.457). In poche parole, in questo scritto analizza il rapporto dell’uomo con la realtà, attraverso la tendenza generale della psiche verso il principio economico di minimo dispendio di energia. L’importanza della realtà esterna, pone l’accento sugli organi sensori e sulla coscienza della qualità sensoriale. In effetti, l’indagine costante della realtà esterna è mediata dalla funzione dell’attenzione (“un sistema di annotazione, il cui compito è quello di depositare i dati di questa periodica attività di coscienza: una parte di ciò che noi chiamiamo memoria” pp.445). Pertanto, al processo di rimozione (difesa messa in atto dall’Io che si ritrae dalle circostanze di dispiacere), si aggiunge la capacità di giudizio che insorge grazie al rapporto con la realtà e le rappresentazioni nuove, più o meno in linea con la realtà stessa, che questo rapporto genera. Un altro processo, che accompagna tali trasformazioni, è legato al pensiero, il quale svolge la funzione di trattenere le cariche pulsionali che conducono all’azione allo scopo di liberare l’apparato psichico dall’abbondanza di stimoli, attraverso l’attività rappresentazionale. Parimenti, durante lo sviluppo sessuale, la graduale consapevolezza dell’esistenza del mondo esterno, conduce la persona all’attraversamento di una fase di latenza, durante la quale la pulsione sessuale viene trattenuta poiché ancora sottoposta al dominio del principio di piacere. Solo attraverso il superamento della fatica e della frustrazione che comporta tale passaggio, l’individuo potrà approdare ad una sessualità secondaria di carattere genitale e, dunque, alla realizzazione di una relazione di appoggio oggettuale. Tuttavia, sottolinea Freud, esiste un’attività del pensiero conservatasi libera dell’esame di realtà e soggetta al puro principio di piacere: la fantasia, ovvero il sognare ad occhi aperti (“La rimozione resta onnipotente nell’ambito della fantasia” pp.457. Freud, infine, individua nell’educazione e nell’arte, quei processi che facilitano il passaggio trasformativo dal principio di piacere al principio di realtà; nel primo caso, si tratta di una possibilità di accompagnamento ai processi evolutivi dell’Io, mentre nei processi artistici, riconosce il movimento tra i processi immaginativi dell’artista, che approda ad un iniziale distacco dalla realtà, verso un contatto più intimo e diretto con essa. L’artista che riesce ad adattarsi, ha rinunciato ai suoi desideri di gloria realizzati su un piano fantasmatico, per accogliere la complessità che le “cose vere” esigono. Concludo citando direttamente un passaggio del saggio, che a mio avviso, arricchisce di significati e strade da percorrere la complessa dinamica psichica di tale trasformazione, anche in relazione al momento storico che stiamo attraversando: “Effettivamente il sostituirsi del principio di realtà al principio di piacere non significa la destituzione del principio di piacere, ma una migliore salvaguardia di esso. Un piacere, momentaneo e incerto nelle sue conseguenze, viene abbandonato, ma soltanto per conseguirne in avvenire, attraverso la nuova via, uno più sicuro. […] La dottrina di un premio nell’aldilà, per la rinuncia – volontaria o imposta – ai piaceri terreni, altro non è che la proiezione mitica di questo rivolgimento psichico. Seguendo coerentemente questo schema, le religioni sono giunte a imporre una totale rinuncia al piacere in questa vita con la promessa di una ricompensa in una vita futura; ma non sono per questa via riuscite a vincere il principio di piacere. La scienza è quella che più si avvicina a tale traguardo; anch’essa offre tuttavia un piacere intellettuale durante il lavoro e promette un tornaconto pratico alla sua conclusione” (pp.458). Freud, OPERE VI, Precisazioni sui due principi dell'accadere psichico , (1911) pp. 449-460.
By Giada Santori January 1, 2020
Negli ultimi decenni, crescente è l’attenzione su quelle che vengono definite “new addiction” ovvero nuove dipendenze. Ma cosa si intende con questa definizione? Le nuove dipendenze racchiudono una serie di comportamenti ripetitivi, nei quali non è coinvolto l’uso di sostanze psicoattive, volti a ridurre gli stati emotivi – affettivi dolorosi. Fra queste si colloca il disturbo da Gioco D’azzardo, una condizione di sofferenza psichica che ha una storia lunga migliaia di anni ma che è divenuta emergente negli ultimi decenni, sollecitata dall’aumento di punti d’accesso (Sale giochi, Slot machine, VLT) e dalle connessioni internet che permettono di giocare in qualunque luogo e orario dal proprio smartphone. Ma perché una persona può diventare dipendente dal Gioco al punto da non poterne più fare a meno? Numerosi sono i contributi scientifici che si sono occupati di comprendere la fenomenologia del comportamento dipendente, occorre pertanto chiamare in causa una serie complessa di fattori che insieme contribuiscono al manifestarsi della condotta compulsiva. Fra questi si ritrovano: una vulnerabilità genetica, che predispone alla possibile evoluzione del disturbo; la ricerca si sensazioni forti/con alti livelli di eccitazione ( sensation seeking ); vulnerabilità emotiva ed impulsività; vissuti di ansia, rabbia, colpa e depressione, che il giocatore cerca di lenire attraverso la dissociazione prodotta dal gioco. Esistono inoltre, una serie di fattori di rischio che possono incidere sulla manifestazione del disturbo, come la precocità dell’inizio del gioco (prima dei 15 anni), la presenza di traumi in età infantile e familiarità al gioco d’azzardo. Sulla base di quanto premesso, è possibile comprendere la dipendenza da gioco come “una conseguenza estrema dell’incontro tra una personalità fragile, che non riesce a tollerare e modulare affetti negativi e un comportamento potenzialmente nocivo ma capace di suscitare intense sensazioni positive o un generale obnubilamento della coscienza”. (Lingiardi - Gazzillo, 2014) A livello neurobiologico, si ritrovano le origini della dipendenza nel cosiddetto “ Reward System ” ovvero il circuito della ricompensa che è quell’area del cervello che viene stimolata dalla condotta compulsiva del gioco analogamente a quanto accade nell’abuso di sostanze. Ciò che accade è che tale circuito è potentemente coinvolto nella gratificazione che si associa a sensazioni soggettive di piacere: perciò si desidera ripetere un’azione perché in precedenza ha prodotto intense sensazioni positive. In questo modo si consolidano le associazioni tra gli effetti del comportamento disfunzionale ed i contesti ad esso correlati. In questa prospettiva il gioco, persegue gli obiettivi di ottenere vitalizzazione e divertimento, istaurandosi al confine “tra l’ammirabile avventurosità dell’esploratore e il bisogno compulsivo di qualcuno privo di relazioni di attaccamento e di una vita interiore che lo sostenga”. (Lichtemberg, 2011) Così, colui che è alla ricerca spasmodica di rischi si perde dietro l’eccitamento e la fantasia di successo e adulazione, uno stato affettivo dissociato nel quale le conseguenze negative non trovano posto. Infatti il la compulsione al gioco ha un effetto regolatore legato al piacere, proprio a causa degli effetti neurobiologici che scatena. La persona affetta da dipendenza non può essere vista come portatrice del desiderio inconscio di nuocere a sé stessa, bensì come un individuo che nell’illusione di procurarsi sentimenti piacevoli si rende schiavo di un comportamento. D’altronde addiction è un termine di derivazione latina che indica proprio una condotta che rende l’individuo schiavo. La persona che soffre di dipendenza infatti, necessita di un oggetto esterno finalizzato alla gestione del dolore, della frustrazione e del disagio psichico. Infatti l’esperienza soggettiva di non avere a disposizione qualcuno che dia sollievo e sicurezza, diviene una fonte di disagio spesso molto più grande di quanto non lo fosse originariamente la prima fonte del disagio stesso. Ciò accade in maniera preponderante in soggetti in cui si riscontra un maternage inadeguato con conseguente fallimento delle relazioni primarie, rinforzato da fattori temperamentali. Infatti, un bambino che non ha avuto esperienze di rispecchiamento e riconoscimento del proprio Sé sufficientemente buone, avrà difficoltà nella simbolizzazione perciò molti conflitti psichici trovano risoluzione temporanea nel passaggio all’azione (comportamento di gioco o utilizzo di sostanze psicoattive). Ciò segnala una inconciliabilità di bisogni psichici contraddittori che non trovano possibilità di elaborazione nel registro mentale. Il bambino viene, perciò, chiamato precocemente al confronto con la realtà e con la separatezza della madre, e ripiega sull’utilizzo massiccio di oggetti- sé disfunzionali con lo scopo di lenire le proprie angosce primitive. In tal senso viene ostacolata quella che lo psicoanalista Heinz Kohut definisce “interiorizzazione trasmutante” che permette l’introiezione di immagini interne capaci di funzionare da regolatori psichici e favorisce lo sviluppo di una autentica capacità di pensare, sentire, giocare e immaginare con successo. Lo psicoanalista Joseph Lichtemberg segnala come “ la dipendenza sia un disturbo del sistema affettivo: la trappola che dà la dipendenza è la soluzione sbagliata al problema di come raggiungere l’obiettivo affettivo in ciascun sistema motivazionale” (Lichtemberg, 2011) Fra i trattamenti maggiormente indicati per il trattamento e la riabilitazione da tale condizione di disagio si ritrovano oltre alla psicoterapia individuale, programmi riabilitativi di gruppo. Questi ultimi offrono la positiva esperienza dell’intimità e dell’affiliazione, della connessione e dell’appartenenza. Il più noto è quello dei Giocatori Anonimi, che si rifà alla filosofia degli Alcolisti Anonimi dei 12 passi. Il setting gruppale favorisce e promuove il cambiamento mediante il confronto e l’identificazione con gli altri utenti del gruppo e grazie ai fattori terapeutici peculiari della terapia di gruppo. Tale contesto ha un ruolo centrale anche nell’infusione della speranza tra membri del gruppo proprio perché all’ interno di esso la persona può entrare in relazione con persone che, affette dalle stesse difficoltà hanno potuto trovare gli strumenti per uscire dal circolo doloroso della dipendenza e riconferire al proprio Sé una nuova e più autentica vitalità. Nella terminologia Kouttiana il gruppo a 12 passi fornisce una forma di esperienza di oggetto - sé alteregoica o gemellare, entrambe vitalizzanti e calmanti. Attraverso la gemellarità il gruppo fornisce conferme per condividere, tentare di cambiare, oltre al riconoscimento di quanto sia difficile l’obiettivo da raggiungere. L’aspetto temporale, diviene centrale nel trattamento delle dipendenze. Occorre tener presente che può essere necessario “un tempo considerevole prima che il suono di fondo dell’attività che dà dipendenza venga sostituito dal suono di fondo di un senso adattivo di sé come agente tra i sistemi motivazionali”. (Lichtemberg, 2011) Lichtemberg D. Joseph, Una risposta sbagliata ad una giusta domanda - prevenzione delle dipendenze comportamentali, Convegno internazionale ISIPSè, Piazza del Campidoglio, Roma 25-26/03/2011. Gazzillo F. - Lingiardi V., La personalità e i suoi disturbi, Milano, Cortina 2014.
By Marta Quaentri December 31, 2019
L’arte, infondo, interessa l’umanità tutta. Ogni qualvolta l’artista esprime un punto di vista attraverso le proprie realizzazioni, dona alla società possibilità di riflessione e comprensione della realtà esterna e nuove forme di identificazione soggettiva che solleticano l’esperienza psichica interna di coloro che vi interagiscono. In altre parole, l’opera d’arte, nelle sue molteplici funzioni, sfugge al pieno controllo e alle aspettative dell’autore stesso, connotandosi di definizioni dinamiche e interattive che gettano i suoi significati nel corso del tempo e dei contesti antropologici nei quali si inserisce nell’arco della sua esistenza. L’opera d’arte esiste perché intrisa di molteplici scambi intra ed intersoggettivi. La relazione tra l’opera, l’artista e i processi che l’accompagnano, si arricchisce di variabili di significato in rapporto alla società stessa. Secondo questa visione, dunque, il messaggio che l’artista vuole veicolare, è intrinsecamente in rapporto con un altro punto di vista. L’opera, pertanto, appartiene all’umanità e ogni artista ne ha consapevolezza e forse anche il desiderio che possa essere così. D’altro canto, in questa dialettica incessante, l’intreccio tra i processi artistici e tutti coloro che vi si accostano, costituiscono possibilità narrative ed esperienze generative in termini di costruzione, decostruzione e ricostruzione delle sue funzioni. I sogni, soprattutto quelli ricorrenti, durante l’analisi subiscono affascinanti trasformazioni che misurano i cambiamenti intrapsichici dell’autore, durante il processo. L’opera d’arte, parallelamente, si muove all’interno di intrecci dinamici costituiti da vari livelli processuali: la cornice psichica interna dell’artista, la propria storia e i significati che gli attribuisce lungo l’arco di vita, le fantasie e i sogni che lo accompagnano, le aspettative generate dall’impatto sociale che scaturisce l’opera e dunque il suo rapporto sociale e politico con l’altro. In analisi, la molteplicità di questi elementi, incontra l’opportunità di ricostruire su un piano associativo ed onirico, il bagaglio identitario dell’artista e di ognuna delle sue opere. Cosa resterebbe di un’opera d’arte, senza i pensieri che le ruotano attorno? Cosa rappresenterebbe la relazione analitica in assenza dei significati che tale relazione assume? Il bisogno di ricercare incessantemente il senso della propria esistenza, porta con sé la maturazione del desiderio di dargli forma attraverso l’esperienza estetica. Ogni immagine prodotta dalla mente (sogni, ricordi, fantasie, opere d’arte), assume un valore sintetico e orientativo del processo che ha prefigurato la sua emersione. Possiamo distingue due tipi di forme simboliche e sue corrispettive funzioni, che M. Klein individuò e che, Susan Isaacs e Hanna Segal approfondirono nei loro scritti: equazione simbolica , funzione alla base del pensiero concreto, nel quale il simbolo è equiparato all’oggetto simboleggiato, al punto di essere vissuto come identico ad esso; rappresentazione simbolica , nella quale il simbolo rappresenta l’oggetto in forma metaforica e creativa. L’artista e l’analista, pertanto, seppur con obiettivi e strumenti diversi, partecipano alla ricostruzione delle infinite “forme” che la realtà assume, fino a riconoscerne nitidamente l’essenza. In un percorso analitico come in un processo artistico, le dimensioni del tempo e dello spazio si connotano di vissuti affettivi e stati percettivi che facilitano l’ emergenza di nuovi significati integrativi e soggettivanti, per l’essere umano. Bibliografia: Susan Isaacs, Fantasia inconscia (2007); Melanie Klein, Scritti 1921-1958 (1978). Hanna Segal, Sogno, fantasia e arte (1991); Opera d'arte di Gianluca Marasca, Sigismondo (2019).
By Marta Quaentri December 31, 2019
Dalla lettura dello psicoanalista inglese Masud Kahn, emerge con vigore il tentativo di riconsiderare il concetto di trauma psichico in termini evolutivo-relazionali. Tale punto di vista è stato ampiamente confermato già a partire dalla fine degli anni sessanta, dalla corposa letteratura scientifica esistente, dalla clinica e, più di recente, dalle ricerche nel campo delle neuroscienze sulla natura relazionale della mente. Nessuno, oggi, oserebbe mettere in discussione le notevoli influenze apportate dalla relazione, nel processo di costruzione della personalità. L’intero panorama di contributi apportati da più fronti disciplinari, sottolinea l’incidenza della trascuratezza infantile nel dispiegarsi di una vasta gamma di sintomi clinici. Dagli anni 70 ad oggi, i contributi della ricerca hanno posto in rilievo l’importanza delle esperienze relazionali precoci, del ruolo centrale delle figure di accudimento e in maniera più ampia dell’apporto ambientale, nel processo di costruzione del sé e di strutturazione delle funzioni psichiche. L’insieme di questi fattori in relazione alle componenti biologiche e temperamentali del bambino, giocano un ruolo importante nel dare forma alla struttura della sua personalità, contribuendo significativamente al suo sviluppo cognitivo e affettivo, e al suo più complessivo equilibrio psicofisico. Al fine di garantire la piena realizzazione delle potenzialità del bambino, la figura di accudimento primaria, dovrebbe essere in grado di fornirgli stimolazioni adeguate, e di svolgere una funzione di rispecchiamento, contenimento e regolazione interattiva dei suoi stati emotivi. Il processo di sintonizzazione della diade, per dirla con le parole di Stern, ha una funzione organizzatrice e vitalizzante per il bambino, poiché ne favorisce la nascita psicologica e gli permette di sperimentare quella che Winnicott chiamò la continuità dell’essere, dall’inglese going of being. Correlati allo sviluppo psicologico del Sé, vi sono l’intera gamma delle reazioni somatiche che accompagnano tali processi. Bessel Van der Kolk, a questo proposito, sottolinea il modo in cui le tracce del trauma relazionale precoce, siano individuabili a livello corporeo quasi in maniera indelebile. Sviluppo della personalità e sviluppo psicosomatico, risultano perciò intimamente collegati alle relazioni intime, in modo particolare a quelle più precoci. Negli studi di Daniel Stern, viene tracciato chiaramente il passaggio tra la costituzione delle singole transazioni che avvengono nel contesto della relazione diadica, e la successiva costruzione dei modelli operativi interni, i quali avranno funzione orientativa per il bambino e il futuro adulto, nell’esplorazione della relazione con il proprio mondo interiore e delle interazioni con la realtà esterna. Pertanto, la costruzione di un legame di attaccamento sicuro, risulta essere un importante fattore protettivo e preventivo, nell’insorgenza di disturbi mentali e fisici. Peter Fonagy, psicoanalista ungherese contemporaneo, inoltre, sottolinea che un attaccamento sicuro predispone allo sviluppo delle capacità di regolazione affettiva e di mentalizzazione, intesa come la capacità di concepire stati mentali inconsci e consci di sé e degli altri. In sintesi, un bambino che è stato accolto all’interno di un ambiente capace di rispondere adeguatamente ai propri bisogni di crescita, avrà acquisito quella sicurezza che gli permetterà di fronteggiare prontamente momenti di tensione e stress, di esprimere adeguatamente le proprie emozioni e di saperle riconoscere negli altri, di adottare strategie di coping funzionali di fronte ai problemi, mettendo a frutto le proprie capacità di resilienza e sviluppando un opportuno senso di agency. Un ultimo elemento, che ritengo estremamente importante, apportato da un legame significativo stabile e appagante, proviene dall’esperienza da parte del bambino, di vissuti connotati da affetti prevalentemente positivi che predispongono alla costruzione del concetto di “fiducia epistemica” di Fonagy, precedentemente descritto. La predisposizione ad un’aspettativa ottimistica all’interno del tessuto relazionale intersoggettivo, che sperimentata all’interno delle relazioni oggettuali, nel tempo viene generalizzata a tutta la branca delle esperienze che il soggetto sperimenta nell’arco della vita. L’affetto connotato dalla fiducia, predispone alla speranza e alla progettualità, facilita l’instaurarsi di legami significativi e stabili, donando equilibrio e una generale sensazione di benessere. La situazione si capovolge completamente, quando ci troviamo di fronte ad un ambiente familiare che non favorisce la crescita o addirittura la inibisce, ovvero nelle circostanze in cui si sperimentano traumi relazionali. La sperimentazione in età evolutiva di interazioni con le figure di accudimento, contraddistinte da trascuratezza emotiva e psicologica, negligenza nelle cure e inversione di ruoli, può tradursi in una grave compromissione del funzionamento psichico dell’individuo. Molti autori si sono espressi in questo senso, sottolineando l’influenza di certi vissuti, sui modelli di attaccamento presenti e futuri, sulla capacità di regolazione degli stati affettivi, sull’integrazione degli stati mentali, sulla maturazione dei processi di autoriflessione e mentalizzazione e in maniera macroscopica sui processi neurobiologici. Già negli anni ‘60, in uno studio sui disturbi psichici infantili Richter, si interrogava su questi temi considerando necessario riconoscere che «molto più in profondità e più duramente, il bambino rimane impressionato dalle tendenze affettive, dalle angosce e dai conflitti dei genitori che egli, con sorprendente empatia, indovina esserci, in certo qual modo, accanto e dietro alle pratiche evolutive esterne. Questo strano profondo degli atteggiamenti affettivi dei genitori che giunge fino all’inconscio, deve essere tenuto in considerazione se se ne vuole verificare l’effetto sullo sviluppo psichico del bambino». Certamente il fenomeno della trascuratezza affettiva va contestualizzato all’interno del maltrattamento infantile, il quale implica tutte le forme di abuso, fisico, sessuale e/o psicologico, ovvero quella branca del trauma relazionale precoce che ha a che fare con le azioni che i caregiver compiono e che non dovrebbero mettere in atto. La trascuratezza dei bisogni infantili, invece, ha a che vedere con ciò che i genitori non fanno, tradendo costantemente le aspettative più o meno consapevoli del bambino. In entrambe i casi il danno più pervasivo arrecato al bambino, è senza dubbio anche di matrice psicologica. Ogni forma di abuso, maltrattamento o trascuratezza, inficia sullo sviluppo armonico della persona, intaccando comportamento, memoria, stati affettivi e funzioni neurobiologiche. La condizione di sofferenza e vulnerabilità psicopatologica, in ogni caso, al di là delle definizioni nosografiche e delle molteplici manifestazioni spesso clinicamente riscontrate in comorbilità tra loro, risulta espressione sintomatica di un trauma evolutivo. Danya Glaser, psichiatra dell’età evolutiva, sottolinea una caratteristica centrale della trascuratezza emotiva, particolarmente comune nei primi due anni di vita del bambino: l’irreperibilità e l’irresponsabilità del caregiver. La reperibilità del genitore e la sua responsabilità verso il proprio figlio, riguarda la pronta reazione alle richieste di aiuto e più ampiamente ai bisogni psicologici del bambino. Tale irresponsabilità adulta, molto spesso è correlata alla depressione materna, ma non necessariamente. Secondo l’autrice, le conseguenze al trauma relazionale precoce possono essere descritte in cinque aree differenti: stato emotivo, comportamento, funzionamento e organizzazione psichica, aspetti relazionali/sociali e attaccamento. I bambini trascurati emotivamente spesso manifestano tristezza, stati depressivi e scarsa autostima, alcuni diventano timorosi e impauriti, altri possono soffrire di stati dissociativi o di fenomeni da stress post-traumatico e la grande maggioranza di essi convivono con forti stati di ansia e di angoscia. Riguardo al comportamento, si evidenziano costanti ricerche di attenzione anche verso gli sconosciuti, al fine di stabilire forti connessioni anche con persone estranee o incontrate per la prima volta; altre volte, invece, i bambini trascurati assumono posizioni oppositive e provocatorie che possono sgorgare in comportamenti antisociali nell’età adulta; molti altri diventano estremamente responsabili nei confronti delle figure di accudimento e dei fratelli, subendo un’inversione di ruolo inadeguata per la propria età. Rispetto al funzionamento cognitivo sembra che questi bambini, mostrino un rendimento inferiore alle aspettative del loro sviluppo, realizzando meno rispetto a quanto sarebbero in grado, grazie alle proprie capacità innate. Nelle relazioni con i pari sono spesso introversi o isolati e in altri casi aggressivi, ed è frequente riscontrare in loro, forme di attaccamento insicuro e disorganizzato. Certe interazioni disfunzionali tra genitore e figlio, inoltre, compromettono lo stato fisico del bambino che in alcuni casi può lamentare dolori per i quali non si presenta una spiegazione organica, e in generale una vasta gamma di sintomi psicosomatici quali enuresi ed encopresi notturne, incubi e disturbi del sonno, disturbi dell’alimentazione, e altre forme di disagio psicocorporeo. Ho trovato molto interessanti, le riflessioni dell’autrice rispetto alle interazioni inappropriate in relazione allo sviluppo del bambino e alla sua età, e in secondo luogo, la sottolineatura del fallimento della promozione della socializzazione del bambino al di fuori del contesto familiare. Nel primo caso, la Glaser focalizza l’attenzione sull’inconsistenza e l’inappropriatezza delle aspettative che un genitore nutre verso il proprio figlio e che lo portano a richiedere costantemente di più o di meno, rispetto a ciò che compete realmente al bambino. Tali atteggiamenti violano il diritto del bambino ad essere trattato conformemente al proprio stadio di sviluppo, ponendolo di fronte ad un confronto disorientante e traumatico. A questo riguardo l’autrice rileva che, i bambini piccoli hanno bisogno di coerenza e chiarezza di confini, di prevedibilità e accettazione incondizionata. Inoltre, una forma frequente di abuso emotivo, riguarda quegli atteggiamenti di ostilità che alcuni genitori rivolgono ai propri bambini, e che spesso sono legati a convinzioni negative erronee. Infine, si profila come una forma di violenza psicologica, l’isolamento del bambino e la mancanza di incoraggiamento verso l’adattamento al mondo esterno e alla creazione di nuovi legami sociali. In questi casi, il caregiver impedisce al bambino di ampliare quel bagaglio di esperienze che gli permetteranno nella vita, di funzionare in maniera adeguata al di fuori della famiglia. Naturalmente, all’interno di una relazione oggettuale primaria, possono coesistere varie forme di trascuratezza e abuso emotivo e, la trascuratezza emotiva si configura come la forma più cronica di abuso infantile, ciò nonostante, molto spesso non viene considerata con la medesima attenzione dell’abuso fisico o sessuale. Va segnalato che qualunque realtà di maltrattamento infantile, al di là della sua esplicazione, ha sempre come esito un abuso emotivo. Infatti, l’omissione di cure, l’indifferenza e una scarsa capacità di mentalizzazione da parte delle figure di accudimento, risultano caratteristiche distintive di tutte le forme di maltrattamento. In tale quadro contestuale, lo psicologo si configura come il professionista che attraverso un percorso di sostegno genitoriale, facilita l’espressione e il consolidamento di quelle funzioni di cura e accudimento mirate al benessere dell’intero nucleo familiare e, dunque, alla promozione della crescita adeguata di ogni membro che vi appartiene. Bibliografia: - GLASER Danya, How to deal with emotional abuse and neglect in Child Abuse & Negelct (2011)35, 1-46; - FONAGY Peter et alii, Regolazione affettiva, mentalizzazione e sviluppo del Sé [Affect Regulation, Mentalization, and the Development of the Self, London, Other Press 2002], tr. it. di Riccardo Williams, Milano, Cortina 2005; - FONAGY Peter, fiducia epistemica, in Atti del Congresso Attaccamento e Trauma. Sviluppo della personalità e psicoterapia, Roma, 25-26-27 settembre 2015, Roma, ISC Sassari 2015; - JANET Pierre, Trauma, coscienza, personalità. Scritti clinici, a cura di Francesca Ortu e Giuseppe Craparo, Milano, Raffaello Cortina 2016; - KHAN Masud M. R., Lo spazio privato del Sé [The Privacy of the Self, London, Hogarth Press 1974] tr. It. di Corinna Ranchetti Varon – Ermanno Sagittario, Torino, Bollati Boringhieri 1979; - KHAN Masud M. R., Le figure della perversione [Alienation in Perversions, London, Hogarth Press 1979] tr. it. di Clara Monari e Maria Antonietta Schepisi, Milano, Bollati Boringhieri 1982; - RICHTER H. Eberhard, Genitori, bambino e nevrosi: conflitti parentali e ruolo dei figli [Eltern, Kind und Neurose [italiano 1997] $$3, Ernst Klett Verlag, Stuttgart, 1963] tr. It. di Carlotta Buzzi, Il Formichiere, Milano 1975; - SIEGEL Daniel, La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale [The Developing Mind, s.l., Guilford Press,2001], tr. It. di Luisa Madeddu, Milano, Raffaello Cortina Editore 2013; - STERN Daniel N., Il mondo interpersonale del bambino [The Interpersonal World of the Infant, New York, Basic Books 1985], tr. it. di Alessandro Biocca e Lucia Marghieri Biocca, Torino, Boringhieri 1987: - VAN DER KOLK Bessel A., Il corpo accusa il colpo: mente, corpo e cervello nell'elaborazione delle memorie traumatiche [The body keeps the score: brain, mind, and body in the healing of trauma, New York, Viking 2014], tr. it. di Sara Francavilla e Maria Silvana Patti, Milano, Cortina 2015; - WINNICOTT Donald W., Sviluppo affettivo e ambiente [The Maturation Process and The Facilitating Enviroment. Studies in the Theory of Emotional Development, London, The Hogarth Press 1965] tr. it. Alda Bencini Barriatti, Roma, Armando Editore 1970.
By Marta Quaentri December 14, 2019
Nelle Metamorfosi, noto poema composto tra il 3 e l’8 d. c., Ovidio ricalca con sensibile umanità e dovizia di particolari, le sfumature affettive che si articolano nei processi trasformativi umani, colti nella loro ambivalenza distruttiva e al contempo di esuberante manifestazione vitale. Il mito, narra che il giovane e bellissimo Narciso specchiatosi in una fonte, finisce per innamorarsi della propria immagine, al punto di auto annientarsi per questo amore. Di Narciso non resterà che un fiore bianco, così come della ninfa Eco che perdutamente se ne era innamorata, non rimasero che le ossa, tramutate in pietra. Caravaggio, in Narciso alla fonte, opera realizzata tra il 1597-1599, attraverso i suoi inconfondibili giochi di luce, sintetizza sulla tela, le varianti emotive generate da un’esperienza di auto rispecchiamento (figura al lato). Salvator Dalì, tra il 1936 e il 1937 traghetta tali immagini, in uno scenario surrealista che esprime in tutta la sua potenza onirica e visionaria, la continuità dell’esperienza umana che si dispiega tra bisogni e desideri, fecondità e morte, luci ed ombre, illusione e realtà. Come ben rappresentato attraverso i contenuti letterari ed artistici, il concetto di narcisismo, attraversa trasversalmente l’esperienza umana, sfuggendo, tuttavia, al tentativo di un inquadramento unitario. Il tema occupa un posto centrale non solo nella teoria e nella pratica psicoanalitica, ma nella specificità della cultura umana tout court. Per tali ragioni, in questa breve introduzione, è mia intenzione focalizzare il discorso intorno alla costruzione della teoria narcisistica freudiana, mantenendo ben salda una visione allargata, che rappresenti il narcisismo, lungo il continuum dello sviluppo psichico e dunque in costante rapporto con le relazioni oggettuali; a partire dalle manifestazioni fisiologiche di un imprescindibile amor proprio, fino alle connotazioni più sofferenti e sofferte della vita psichica di un individuo. A tale scopo, il riferimento principale di questo estratto, sarà un lavoro di Freud del 1914, Introduzione al narcisismo, testo fondamentale, non solo per la comprensione del narcisismo, ma per gli sviluppi teorici successivi della costruzione teorica dell’autore e della psicoanalisi stessa. Già nell’incipit di questo scritto, lo stesso Freud, rivendica al narcisismo un posto nel normale sviluppo psichico, in quanto matrice di pulsioni vitali, descrivendolo come “…un complemento libidico dell’egoismo della pulsione di autoconservazione, una componente del quale è legittimamente attribuita ad ogni essere vivente”. Si dispiegano, al contrario, con significatività psicopatologica, quelle connotazioni tipiche delle organizzazioni psichiche caratterizzate da delirio di grandezza e distacco totale dall’interesse verso persone e cose del mondo esterno, ovvero in quelle che Freud chiamava parafrenie. L’autore parlò per la prima volta di narcisismo nel 1905 nei Tre saggi sulla teoria sessuale, in una lunga nota al margine in cui descrive la scelta oggettuale omosessuale caratterizzata da un’assunzione di sé come oggetto sessuale e dunque successivamente rivolta a partner del proprio sesso, affermando una tendenza bisessuale iniziale in ogni individuo a prescindere dalle connotazioni di genere e, una successiva evoluzione psicosessuale, motivata dall’andamento qualitativo delle relazioni oggettuali preminenti. Sempre nel 1910, attraverso l’Analisi del ricordo di infanzia di Leonardo da Vinci, rileva l’evocazione di una reminiscenza di suzione del seno materno, mediante un racconto dello scienziato che narra di se stesso dentro una culla, e dell’arrivo di un nibbio che gli aprì la bocca con la coda e iniziò a sbatterla all’interno di essa. Mediante un’analisi storica delle attribuzioni simboliche della maternità correlate all’avvoltoio, Freud ipotizza che in Leonardo vi sia stata una mancanza del padre e un’esclusività del rapporto con la madre negli anni cruciali della sua infanzia, e che ciò avesse stabilito un vincolo erotico precoce con la madre. Tale amore troppo intenso e fusionale viene rimosso, non ammettendo di essere sostituito con quello per altre donne. Freud, deduce che in tale processo il soggetto si identifichi con il ruolo materno, scegliendo partner simili a lui da amare esattamente come la madre ha amato lui. Tale ipotesi, peraltro, viene confermata dalla biografia di Leonardo, che di fatto vivrà i primissimi anni di vita lontano da suo padre, il quale si allontanò con una nuova compagna. Nel 1910, in Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia (dementia preacox) descritto autobiograficamente (Caso clinico del Presidente Schreber), descriverà il narcisismo primario come uno stadio intermedio tra la fase dell’autoerotismo e quella dell’amore oggettuale. Il soggetto assume prima di tutto sé stesso e il proprio corpo come oggetto di amore, preludio indispensabile per la futura scelta oggettuale. In tal senso, a me pare che in Freud, la scelta oggettuale omosessuale segua lo stesso sviluppo di quella eterosessuale, seppur con processi identificativi differenti. Tali affermazioni ricorreranno nuovamente in Totem e tabù, (1912-1913) per poi essere riprese e approfondite un anno dopo, nel saggio del 1914, Introduzione al narcisismo, scritto cruciale della sua teorizzazione. In questa fase delle sue ricerche, Freud giungerà alla sistematizzazione delle sue teorie sul narcisismo, passando in rassegna gli interrogativi che questa nuova acquisizione implicavano alla teoria psicoanalitica nel suo insieme. In questo saggio, Freud ribadisce la natura sessuale della libido delineando un narcisismo originario primario, derivante, da una componente originaria del sentimento di sé, dall’onnipotenza infantile, e dalla qualità del soddisfacimento della libido oggettuale, nelle quali il bambino individua se stesso come oggetto d’amore in una posizione di autoriferimento libidico, necessaria all’avvio della fase successiva che consiste nel prendere le distanze da questa condizione. Prima di ripercorrere la costruzione della teoria narcisistica freudiana, vorrei fare un breve cenno alla distinzione che Freud apporta ai concetti di stimolo e pulsione e la specificazione dei principi che la regolano. Nel 1915, in Metapsicologia, definisce le pulsioni come: “le vere forze motrici del progresso che conducono il sistema nervoso – le cui capacità di prestazioni sono illimitate – al suo livello di sviluppo attuale […] la pulsione ci appare un concetto al limite tra lo psichismo e il somatico”. Sulla base di tali considerazioni, l’autore si domanda che rapporto vi sia tra gli stimoli provenienti dal mondo esterno e le pulsioni interne all’individuo, giungendo all’individuazione di due principi fondamentali che li regolano: il principio di costanza e il principio di piacere. Il primo può essere descritto come la tendenza omeostatica dell’individuo a mantenere un equilibrio tra queste due forze eccitanti, ovverosia le pulsioni interne e gli stimoli provenienti dall’esterno (Principio di Nirvana); e l’ultimo, descritto da Freud come una modificazione del principio di Nirvana, non linearmente connessa al raggiungimento di uno stato di benessere, come largamente specificato nell’Interpretazione dei sogni (1899). In questi termini, l’ampiezza e la complessità degli scenari evolutivi che Freud descrive in rapporto alla successione direzionale della pulsione libidica, effettuando un’operazione di semplificazione descrittiva, possono essere rappresentati all’interno di due macro aree dell’organizzazione psichica: la nevrosi e la psicosi, con tutte le varianti e le sfumature di funzionamento che afferiscono ad ogni individuo. In tal senso, l’introduzione del concetto di narcisismo implica una modificazione specifica della prima teoria delle pulsioni, (che nello scritto Tre saggi sulla sessualità infantile del 1905, viene descritta come l’eccesso di stimoli intollerabili che devono trovare una via risolutiva attraverso l’azione) verso una più affettiva connotazione di pulsione, la quale si muove tra l’andare verso e il ritirarsi dall’oggetto, ovverosia in uno spettro che si articola tra la definizione di libido oggettuale e libido dell’Io. Afferma Freud, a tal proposito, che l’isterico o il nevrotico ossessivo, in misura del livello raggiunto dalla sua malattia, ha abbandonato il suo rapporto con la realtà, senza tuttavia interrompere una tensione erotica verso le persone e le cose. Ha rinunciato ad intraprendere azioni atte al raggiungimento delle sue mete, e attraverso l’attività fantasmatica sostituisce o combina insieme gli oggetti reali con quelli immaginari tratti dai ricordi (Dinamica della traslazione). Aggiunge Freud, “Le cose vanno diversamente per il parafrenico, sembra che egli abbia effettivamente ritirato la sua libido da persone e cose del mondo esterno, senza averle sostituite con altre nella fantasia”. La conseguenza di una libido totalmente sottratta agli oggetti, ricalca Freud, traccia la strada verso il delirio di grandezza, e pertanto nella direzione di una totale sottrazione della sessualità verso il mondo esterno che, dunque, non conoscerà altra direzione che l’Io. L’immagine contrapposta e al contempo sinergica della relazione tra libido oggettuale e libido dell’Io offerta da Freud, riporta l’estrema sintesi delle modalità di rapporto intrapsichico e relazionale, che si verificano nel continuum dell’esplicarsi dell’esperienza psichica umana. Dice Freud: “Grosso modo, osserviamo anche una contraddizione tra libido dell’Io e libido oggettuale. Quanto più si impiega l’una, tanto più si depaupera l’altra. Ci sembra che il punto più alto cui perviene la libido oggettuale nel suo sviluppo, si esprima nello stato di innamoramento, il quale ci si presenta come una rinuncia del soggetto alla propria personalità in favore di un investimento d’oggetto; la situazione opposta si può riscontrare nella fantasia (o autopercezione) della “fine del mondo”, propria dei paranoici”. Freud stesso, a questo punto, riporta le difficoltà connesse ad uno studio diretto del narcisismo, rimandando alla necessità di ulteriori approfondimenti sul tema, a partire dallo studio delle parafrenie e afferma: “Come le nevrosi di traslazione ci hanno consentito di seguire le tracce dei motivi pulsionali libidici, così la dementia preacox e la paranoia ci consentiranno di penetrare la psicologia dell’Io”. Va detto, che similmente nello stato di sonno, assistiamo ad un ritiro narcisistico dell’assetto libidico sulla propria persona, motivato dal bisogno di dormire. Ritengo che attraverso tali specificazioni, l’autore sottolinei implicitamente un carattere complessuale del costrutto, che richiama nel lettore, un atteggiamento cauto e la presa di coscienza di un limite descrittivo intrinseco del funzionamento narcisistico, al quale Freud, tuttavia suggerisce di accostarsi attraverso l’osservazione della vita amorosa degli esseri umani, all’interno di tutte le varianti delle sue manifestazioni. Ancora in questo scritto, distingue due modalità di scelta che si evidenziano nel soddisfacimento delle pulsioni libidiche: per appoggio oggettuale e per appoggio narcisistico. Gli iniziali soddisfacimenti sessuali nel bambino, sono di tipo autoerotico ed assurgono a funzioni vitali, strettamente connesse al principio di autoconservazione. Dunque, inizialmente la libido si appoggia in maniera fisiologica all’Io per poi direzionarsi verso una progressiva indipendenza. Freud sottolinea, che tale appoggio sull’Io, coinvolge anche le persone che hanno a che fare con la nutrizione, la cura e la protezione del bambino, e per tali ragioni, vengono assunte come primi oggetti sessuali. I genitori, infatti, e in modo squisito la madre, assumono un ruolo centrale nel processo di facilitazione dell’indipendenza dal narcisismo primario e una conseguenziale virata delle pulsioni sessuali del bambino, verso gli oggetti. La scelta oggettuale per appoggio (o di tipo anaclitico), implica che la libido si possa liberare verso un oggetto d’amore, in questo caso la madre o più in generale, il caregiver; diversamente, avremo una qualità dell’appoggio di tipo narcisistico, nella circostanza in cui, in qualità dell’oggetto d’amore non viene assunta la madre, ma la propria persona. Freud sintetizza le vie possibili di entrambe le scelte, affermando che la scelta oggettuale di tipo narcisistico, possa avvenire all’interno di quattro posizionamenti principali verso: a) quel che egli stesso è (cioè sé stesso); b) quel che egli stesso era; c) quel che egli stesso vorrebbe essere; d) la persona che fu una parte del proprio sé. Parimenti, individua alcune modalità di scelta oggettuale per appoggio nella direzione: a) della donna nutrice; b) dell’uomo protettivo. Infine, riporto un’ultima rilevante chiarificazione espressa dall’autore, il quale sottolinea l’incapacità dell’uomo di rinunciare a un soddisfacimento di cui ha goduto nel passato. Quest’ultimo, difendendosi dalla possibilità di dover fare a meno della perfezione narcisistica maturata nella prima infanzia, e nell’impossibilità di preservare tale stato di perfezione, cerca di riconquistarlo in nuove forme dell’ideale dell’Io. Freud afferma che “L’idealizzazione può avvenire sia nell’ambito dell’Io, sia nell’ambito della libido oggettuale (…) è un processo che ha a che fare con l’oggetto; in virtù di essa l’oggetto, pur non mutando la sua natura, viene amplificato e psichicamente elevato. (…) Così per esempio la sopravvalutazione sessuale di un oggetto è un’idealizzazione dello stesso.” Contrariamente, aggiunge Freud, il processo di sublimazione, interessa la libido oggettuale e ha a che fare col volgersi della pulsione nella direzione di una meta differente dal soddisfacimento sessuale. In effetti, nelle nevrosi, si ritrovano le più incisive differenziazioni di tensione tra lo sviluppo raggiunto dall’ideale dell’Io e la misura in cui le pulsioni libidiche primitive sono state sublimate. Di conseguenza, la formazione di un ideale dell’Io e la sublimazione, predispongono a forme di differenziazione importanti rispetto all’origine della nevrosi. Concludo, quest’ultima sottolineatura, mediante le parole dell’autore: “…la formazione di un ideale, accresce le esigenze dell’Io e favorisce al massimo la rimozione; la sublimazione offre invece una via d’uscita in virtù della quale le esigenze dell’Io possono essere soddisfatte senza dar luogo a rimozione. Lo sviluppo dell’Io implica, quindi, un distanziamento dal narcisismo primario, processo che porta con sé intensi sforzi finalizzati al tentativo di recuperarlo. Tale graduale distaccamento, avviene per mezzo dello spostamento della libido su un ideale dell’Io costruito attraverso le imposizioni provenienti dall’esterno (in prima istanza attraverso la relazione oggettuale primaria). “Questo allontanamento si effettua per mezzo dello spostamento della libido su un ideale dell’Io imposto dall’esterno, e il soddisfacimento è ottenuto grazie al raggiungimento di questo ideale”. In questo passaggio, avviene un fisiologico impoverimento dell’Io, e a vantaggio di investimenti libidici oggettuali e a vantaggio dell’ideale dell’Io. Dunque, l’Io può tornare ad arricchirsi, se ottiene soddisfacimento attraverso la relazione oggettuale e se riesce a conseguire il proprio ideale, in un delicato equilibrio psicodinamico tra stimoli e pulsioni, bisogni e desideri. Specifico che in questo scritto, riporto una preliminare rielaborazione personale dei concetti apportati dall’autore, che in seguito attraverso la configurazione strutturale della psiche descritta nella II topica (Io, Es e Super-Io), troverà ulteriori chiarificazioni e approfondimenti nell’opera di Freud. Bibliografia: - Freud S. (1905) Tre saggi sulla teoria sessuale , Biblioteca Bollati Boringhieri; - Freud S. (1910) Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia (dementia preacox) descritto autobiograficamente (caso clinico del presidente Schreber), CASI CLINICI, Boringhieri; - Freud S. (1910) Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci , OSF 6, Boringhieri; - Freud S. (1914) Introduzione al narcisismo , OSF 7, Boringhieri; - Freud S. (1915) Metapsicologia , OSF 8, Borighieri; - Freud S. (1920) Un caso di omosessualità femminile , CASI CLINICI, Boringhieri; - Freud S. (1920) Al di là del principio di piacere , OSF 9, Boringhieri.
By websitebuilder December 14, 2019
Nella società contemporanea, parlare di dipendenze significa ampliare il proprio orizzonte di significati per fare i conti con i rapidi cambiamenti che hanno caratterizzato la società in cui siamo immersi e da cui veniamo continuamente stimolati. A tal proposito, sono emerse, negli ultimi decenni quelle che il DSM – 5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) chiama “new addiction”. Infatti all’interno del manuale in questione sono state apportate delle modifiche rispetto alla sezione dedicata alle dipendenze da sostanze, che è ad oggi denominata “disturbi correlati a sostanze e disturbi da addiction”. La necessità di apportare tali modifiche coincide con le premesse sopracitate, ed evidenzia oltre alle dipendenze da sostanze già note, quadri diagnostici come il “disturbo da gioco da azzardo”. Il DSM – 5, cita inoltre altri quadri diagnostici che necessitano di ulteriori ricerche (nella terza sezione della nosografia) come: il disturbo da gioco su internet. Le ricerche mostrano le analogie fra questi quadri sindromici poiché nel caso del gioco d’azzardo ad esempio: “riflettono l’evidenza che i comportamenti legati al gioco d’azzardo riescono ad attivare sistemi di ricompensa simili a quelli attivati dalle sostanze di abuso e producono alcuni sintomi comportamentali che sembrano comparabili a quelli prodotti dai disturbi da uso di sostanze”. (APA, 2014) Questi cambiamenti includono l’esigenza di rispondere a problematiche tipiche del nostro tempo, a nuove modalità di esprimere il disagio e la sofferenza psicologica. Ponendo particolare attenzione alle tossicodipendenze, esse così come gran parte dei disagi psichici affondano le radici in cause bio-psico-sociali. Ciò sta a significare come nella persona affetta da dipendenze da sostanze si incontrino aspetti biologici, derivanti dal proprio patrimonio genetico che espongono ad una vulnerabilità rispetto al disturbo; aspetti psicologici, che hanno a che fare con lo sviluppo psichico e con le caratteristiche di personalità dell’individuo ed infine aspetti sociali che concernono le influenze dell’ambiente e della cultura di appartenenza ed alle modalità con cui la persona vi fa fronte. Lo psicoanalista Heinz Kohut ha concettualizzato la dipendenza da sostanze nel campo più ampio dei disturbi narcisistici, segnalando come alla base del comportamento dipendente si pongano eventi traumatici riguardanti l’indisponibilità della figura di riferimento (della madre o di chi si occupa del bambino) di assolvere ad alcune funzioni fondamentali come quelle di rispondere empaticamente ai bisogni del bambino, accogliere e rispecchiare i suoi stati d’animo, alleviare la tensione e più in generale di fornire al bambino un’esperienza regolativa che calma e/o vitalizza. (Kohut, 1976) Tale prospettiva permette di leggere il disagio legato alle dipendenze ricollocandolo nell’esperienza personale della persona, e nel proprio modo di “essere nel mondo”. L’abuso di sostanze psicoattive fornirebbe alla persona un’esperienza alternativa a quella di “oggetto - Sé", teorizzata da Kohut. In questa cornice teorica, precoci esperienze di delusioni traumatiche nello sviluppo del bambino possono gettare un terreno favorevole per l’instaurarsi di una tossicodipendenza. La sostanza, nella visione Kohuttiana, non andrebbe a sostituirsi all’oggetto da amare ma scrive lo psiconalista: “la droga non serve loro come sostituito di oggetti da amare o da cui essere amati, o di un rapporto con essi, ma come sostituzione di una funzione che la struttura psichica è incapace di svolgere”. (Kohut, 1976) In quest’ottica la psicoterapia si pone come una possibilità che restituisce significato all’esperienza personale ed unica della persona. Comprendere e ricollocare il dolore psichico in una più ampia cornice di senso pone le basi per il raggiungimento di un equilibrio psicofisico più funzionale e gratificante. Bibliografia American Psychiatric Association. Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.). Arlington, VA: American Psychiatric Publishing, 2013. Edizione italiana: Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Milano: Raffaello Cortina, 2014. Kohut H. (1971). Narcisismo e analisi del Sé. Torino: Boringhieri, 1976, pag 53.
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